25 novembre 2012 – “Noi” facciamo la differenza

Elena Gazzotti, consigliere PD.
[n. 6 - dicembre 2012 - Dal Consiglio]

Le celebrazioni della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne dello scorso 25 novembre è stata accompagnata da un evento particolare, il ritrovamento nelle campagne brianzesi del corpo – se così si può definire – di Lea Garofalo, sparita il 24 novembre 2009.
Lea aveva deciso diversi anni prima di staccarsi dalla tradizione familiare legata alla ‘ndrangheta calabrese separandosi dal compagno, boss che gestiva gli affari del mercato della cocaina milanese. Lo aveva fatto collaborando con la giustizia per tutto quello che sapeva degli affari criminali della sua famiglia e con il sogno di dare un futuro migliore alla figlia Denise. Dopo anni di fughe e precarietà, da quanto era già stato ricostruito nel corso del processo milanese di I grado si evinceva che quella scelta si era tradotta purtroppo nell’uccisione della donna da parte del compagno e di suoi collaboratori.
Poche settimane fa, la collaborazione di uno dei sei condannati all’ergastolo per la morte di Lea, ha permesso di ritrovare la cenere del suo corpo bruciato e qualche oggetto personale sepolti in una campagna della Brianza.
Culturalmente era un doppio tradimento quello che Lea aveva consumato: aveva tradito la sua famiglia rivelando gli affari criminali alla Giustizia e aveva disonorato il suo uomo abbandonandolo, entrambe forme di libertà inaccettabili per la ‘ndrangheta maschilista. Per questo il suo corpo doveva essere completamente annullato nella sua esistenza.

Come istituzioni non possiamo esimerci dall’esprimere la nostra solidarietà alla figlia Denise, non solo per il dramma che ha vissuto, che è simile purtroppo a quello di tante altre famiglie, figli e genitori, ma anche perchè sappiamo che la sua scelta di collaborare con la Giustizia nel corso del processo, come la precedente scelta della madre Lea, ha un valore simbolico e civico altissimo. Denise ha messo prima il suo volere essere libera cittadina e fare l’interesse pubblico, assumendosi la responsabilità che anche per questa sua scelta il padre e il suo ex fidanzato subissero la condanna dell’ergastolo e fosse messa in discussione una parte di quel sistema criminale che usa i legami “di sangue”, per auto-proteggersi tentando di ridurre le persone a oggetti che non hanno diritto di scegliere di vivere diversamente, quel sistema criminale che si chiama ‘ndrangheta e che anche al nord, a Milano, fa’ affari e fa’ “lupara bianca”.
A quel processo erano presenti tanti cittadini e cittadine modenesi, che ringraziamo perchè hanno svolto e stanno svolgendo un ruolo importantissimo di rete sociale che consente a questa ragazza coraggiosa di rifarsi una vita.

Ma la solidarietà, indispensabile, non può bastare. Crediamo che una storia come questa, drammatica ed estrema, permetta di svolgere alcune riflessioni su quelle che crediamo debbano essere delle direzioni di lavoro per eliminare la violenza esercitata sulle donne.
Attivare processi di riconoscimento del problema della violenza degli uomini sulle donne.
Superare gli stereotipi che portano a considerare normale la violenza sulle donne (e anormale solo quella che si esercita sugli uomini) o semplificarla a problema di alcune culture quando la maggior parte delle volte avviene in ambito domestico o di relazioni affettive e assumerci come comunità pubblicamente un rifiuto della violenza, farci carico di intraprendere una seria auto analisi di cosa nelle persone, nelle relazioni e nei modelli di società e famiglie che proponiamo alimenta questa violenza. È importante che uomini e donne facciano parte di questo percorso di riconoscimento del problema e di assunzione di responsabilità collettiva.
L’importanza che la Giustizia sia nelle condizioni di essere efficace e razionale
: che gli operatori sappiano riconoscere gli stereotipi (come poteva essere la lupara bianca al nord o il diverso atteggiamento delle mafie rispetto a donne e bambini o la legittimità di un uomo di possedere e controllare la compagna) dai fatti, che abbiano gli strumenti per lavorare e intervenire facendo luce su quanto avvenuto e restituendo la responsabilità ai soggetti coinvolti, che possano sanzionare più pesantemente i comportamenti più gravi.
Agire per prevenire le violenze
smascherando gli elementi impliciti e diseducativi dei contesti, i problemi sociali ed educativi che originano violenza e costruendo esperienze educative intenzionali e contesti che, a partire dai più giovani, sostengano lo sviluppo di relazioni che siano paritarie e rispettose della dignità di ognuno e in cui ognuno possa esprimere il proprio originale valore.
Favorire la costruzione e la cura delle reti sociali, istituzionali e associative, di tutti quei servizi e relazioni fondamentali per trovare alternative alla violenza subita, per farla emergere, per eliminarla e proteggere i più deboli; fondamentali perchè nella violenza non sono coinvolti solo un uomo e una donna ma anche il loro sistema di relazioni che in un qualche modo si interroga, ha bisogno di comprendere, rielaborare e risanare quello che non ha funzionato e potrebbe non funzionare in altre occasioni.

Pubblicato: 27 Dicembre 2012Ultima modifica: 12 Luglio 2022