Disoccupazione e dintorni: osservazioni e proposte

Gruppo consigliare UDC.
[n. 5 - maggio 2011 - Dal Consiglio]

La disoccupazione è solo il risultato di una difficile congiuntura economica e sociale, oppure si possono individuare anche delle “colpe personali”? C’è chi è disoccupato perché la crisi ha creato un vuoto in alcuni settori dell’economia ma c’è anche chi è disoccupato per colpa propria. In molti quando hanno cominciato il percorso formativo hanno scelto la via più semplice e lo hanno fatto senza nemmeno leggere gli annunci di lavoro, senza la minima coscienza di quali fossero le figure professionali più ricercate pretendendo però di trovare lavoro con il pezzo di carta che hanno ottenuto. Si tratta di irresponsabilità pura, scaricata sul sistema politico e formativo.

Ma al di là delle colpe personali occorre riflettere seriamente sul sistema della formazione: università, scuola e formazione professionale hanno delle carenze notevoli, e molto spesso quando si esce da quelle esperienze non si è pronti. Un imprenditore che volesse assumere si trova in molti casi  a dover formare al lavoro il neoassunto per mesi o anni con costi assurdi. È chiaro che c’è qualcosa che non va.

Nel mondo del lavoro poi, imprenditori e lavoratori devono avere il coraggio di aggiornarsi. Dieci fa non esistevano Apple e il suo I-phone, Google, Facebook e il resto della “moderna” new economy. Oggi, ragazzini di 12 o 13 anni programmano per questi colossi internazionali creando delle loro micro imprese, il loro lavoro è produttivo e navigano in un mercato che raggiungerà quest’anno 35mld di dollari. Quanti ingegneri elettronici, informatici, periti e figure simili percorrono questa strada? Hanno questi il coraggio di rischiare o si aspettano che la STM di turno faccia un’infornata di assunzioni?

Altra piccola osservazione: quel “lavorano tutti” del ministro Tremonti sugli immigrati voleva semplicemente indicare che questi si adattano meglio e più in fretta dei nostri giovani alle esigenze del mercato. Non si vuole paragonare un immigrato non in possesso di titolo di studio riconosciuto con un qualsiasi laureato italiano, però bisogna anche dirsi alcune “verità”: oggi non c’è modo di assorbire quella massa di competenze acquisite nei nostri atenei, ma restano accessibili i posti come banconista al supermercato. Così essendo inutile il titolo per accedervi, il datore di lavoro guarderà alla puntualità e alla serietà del lavoratore. In questo caso il migrante si adatterà senza pretese, mentre il giovane italiano, con laurea in comunicazione e tante aspirazioni non lo farà.

Ma oltre alle osservazioni ci sono anche delle vie da percorrere? Chi è già nel mondo del lavoro, a breve, dovrà adattarsi a tutto, mentre nel lungo periodo dovrà pensare a modi di riqualificazione. La politica deve concordare con le parti interessate e fare le riforme necessarie a garantire una migliore vivibilità delle aziende nel sistema economico internazionale e deve incentivare la loro crescita ed il loro sviluppo.

Chi ancora è in fase di formazione o la deve iniziare deve avere il coraggio di scegliere  percorsi difficili e scomodi ma di “sicura” occupabilità all’università o nella formazione specialistica tecnica: aiuterà a lavorare con continuità e a soffrire meno nelle fasi di recessione.

Chi ha un titolo di eccellenza, lo dico a malincuore, deve andare dove può esprimersi. Tocca all’Italia non farvi scappare.

Pubblicato: 09 Maggio 2011Ultima modifica: 09 Giugno 2022