C’è un qualcosa di irreale in una crisi generata da un gigantesco crack della finanza pagata da Stati che, per rimettere in piedi il sistema finanziario, stanno facendo pagare a noi tutti i costi. Mai come oggi un’economia virtuale, dove è saltato anche uno dei cardini del capitalismo e cioè la coincidenza tra ricchezza e possesso dei mezzi di produzione, produce effetti gravemente reali.
Non sta alla Provincia di Modena individuare la via d’uscita da una situazione che ha messo in luce quanto debole sia la politica e quanto debole sia l’attuale assetto istituzionale, nell’affrontare il “lato oscuro” della globalizzazione. Quello che è certo e che dobbiamo attrezzarci culturalmente per affrontare quella che non è una delle tante crisi cicliche che attraversano il mondo ma un passaggio storico che rappresenta una crisi di civiltà dalla quale non usciremo così come vi siamo entrati.
Si affacciano oggi discussioni di carattere decisamente più strutturale: come è possibile regolare a livello internazionale il rapporto tra economia e finanza; se davvero possiamo ancora pensare ad una crescita fondata sullo sviluppo dei consumi in una parte del mondo dove si consuma anche troppo; come dobbiamo ridefinire la stessa sovranità di Stati che sono sempre più interdipendenti e vincolati l’uno all’altro ma senza avere reali istituzioni comuni; come è possibile evitare che l’unica ricetta che ci viene proposta sia applicare misure depressive dell’economia che non possono che far crescere la quota parte di debito rispetto ad un PIL in picchiata.
Sta però anche a noi aderire in tutto e per tutto all’enorme senso di responsabilità che ci è richiesto in questo momento e pensare al bene comune: fare sacrifici – mi auguro davvero equi perché c’è un limite materiale oltre che morale che non può essere valicato – e fare le riforme che servono al futuro del Paese.
Ogni giorno ci sono piccole imprese che fanno i conti con settimane o mesi di sopravvivenza, a poco a poco se ne stanno andando posti di lavoro e serenità e sicurezza per le famiglie. Ma le imprese soffrono anche dei ritardati pagamenti e della riduzione degli investimenti della Pubblica Amministrazione condizionati da quello che è il vero freno alla capacità di spesa del settore pubblico: il Patto di Stabilità, meccanismo che obbliga a rallentare la spesa e a fare una scelta abbastanza imbarazzante tra rimettere nel cassetto gli investimenti previsti o dilazionare in maniera insostenibile i pagamenti.
C’è poi una spesa pubblica poco produttiva e che non mette in modo alcun processo utile alla comunità; c’è una spesa pubblica produttiva che moltiplica il proprio valore economico e sociale. E rimango spesso stupita nel dover constatare quanto ancora sia presente nelle classi dirigenti di questa nostra provincia una domanda “vecchia” rispetto alla qualità della spesa pubblica e quanto sia necessario mettere in campo una classe dirigente rinnovata, capace di mettersi in gioco nell’interesse della nostra comunità e non della corporazione di riferimento.
Dobbiamo metterci al servizio, essere utili al nostro territorio, avere capacità di rafforzare una rete integrata delle politiche e dei servizi nel nostro ambito territoriale.
Un pensiero anche verso la cosiddetta “eliminazione delle Province”: le riforme non si possono fare togliendo un pezzo a caso e non ragionando sugli effetti di sistema, non si possono fare a spizzichi e bocconi. La spesa di tutte le Province italiane per la rappresentanza democratica (o costi della politica secondo la vulgata populista) ammonta a 122 milioni di euro e all’ 1,4% dell’intera spesa corrente.
In ambito regionale, la spesa totale delle Province rappresenta il 6%, quella dei Comuni il 10%, quella delle Regioni l’84%. Di questa spesa, la spesa corrente delle Province è pari al 4%.
Se invece guardiamo agli investimenti e cioè alla spesa in conto capitale, questa rappresenta il 47% di spesa dei Comuni, il 44% di spesa delle Regioni, il 9% di spesa delle Province.
Qualunque sia la sorte che il legislatore nazionale vorrà assegnare alle Province, il nostro compito è quello di operare con rigore e serietà fino all’ultimo minuto disponibile.
Oggi ritengo primario investire nella scuola, a partire dal necessario decoro degli spazi dove i nostri ragazzi sono impegnati nello studio, poi nella cultura (ma secondo i principi che ho esposti nel numero precedente di questa newsletter); ritengo indispensabile rivedere ma tutelare il sistema regionale di welfare e monitorare le scelte sanitarie compiute con il nuovo PAL (di cui confermo le ampie perplessità sulle scelte riferite all’Ospedale di Castelfranco Emilia), così come credo che non si possa prescindere da un programma delle infrastrutture fortemente basato sulla sostenibilità e sulla condivisione, che tuteli il paesaggio, questo nostro bene enorme ma finibile.
Ho votato a favore al Bilancio 2012, un atto che reputo doveroso per il bene del territorio in cui sono stata eletta, ma sarà ancora più alto il mio livello di controllo nelle scelte e nelle modalità.