Il silenzio delle donne

Patrizia Cuzzani, Vicecapogruppo Italia dei Valori.
[n. 2 - febbraio 2011 - Dal Consiglio]

Ho recentemente partecipato quale rappresentante della Provincia di Modena all’esecutivo della Consulta nazionale per le Pari Opportunità dell’Upi, c’era un clima molto costruttivo e bipartisan. Molte donne della nostra assemblea costituente, negli anni sessanta hanno rivendicato il matrimonio come contratto tra eguali, la pari tutela dei figli e la libertà di entrare nel mercato del lavoro, hanno lottato per avere eguale salario e stesse opportunità di carriera, e con i diritti civili e sociali hanno formalmente conquistato, credevamo per sempre, una dignità di cittadinanza e giuridica.
Oggi avere diritti è un mestiere difficile e non sempre riconosciuto, la libertà femminile nella società dei diritti e delle costituzioni democratiche è sempre più un bene raro. Le donne italiane oggi mi sembrano le più umiliate, sempre più subordinate, le meno pagate e le meno riconosciute, siano essere operaie o manager; con il passare degli anni la situazione non solo è rimasta immutata, ma sta peggiorando, oggi noi siamo trattate come serve o siamo indotte a comportarci come tali, ma lo siamo da libere.
Il silenzio delle donne è dovuto al fatto che la libertà rende impossibile o difficile denunciare il modo in cui veniamo presentate e usate. Esistono leggi a tutela delle donne, leggi contro la discriminazione, leggi a tutela delle pari opportunità, ma non vengono applicate e le donne stanno zitte e subiscono. Chi si rivolge ad un avvocato non lo dice in giro, meglio che non si sparga la voce, altrimenti passi per l’attaccabrighe, la rompiscatole, quella che si mette di traverso, la disubbidiente.

Recentemente alla domanda di un bambino ad un partigiano che gli chiedeva come fare ad essere liberi, questo ha risposto: non dovete mai smettere di chiedere conto a chi vi governa. Giustissimo, ma questo presume che chi governa tema di dover rendere conto, la cultura della libertà sotto la legge è basata su questo timore del giudizio pubblico. Oggi in Italia non si teme il giudizio pubblico, bensì vince la sfrontatezza dispotica di pensare di farsela da soli la legge, fregandosene del bene comune e della dignità delle persone donne. La politica come servizio fa coppia con una visione del diritto come strumento che dà dignità, senza di che la libertà è molto spesso quella del serraglio: la libertà di essere notata, promossa ed elogiata da un uomo, che con atteggiamento padronale poi ti metterà dove lui deciderà, e tu sarai felice, perché hai lo scudo di un uomo, non il riconoscimento delle altre donne o la certezza che la tua competenza ti ha permesso di arrivare lì.

Perché le donne hanno smesso di lottare, perché non reagiscono, perché si sono omologate all’atteggiamento padronale?
Mi sono ritornate storie di bambolone televisive, di veline e di velone, di personaggi e corpi appariscenti, magari distrutti da eccessi di botox e di silicone, sono quelle che oggi dettano un canone di bellezza, un modello unico che somiglia quasi ad una dittatura, un modello che propugna una visione umiliante e offensiva della donna. Il corpo sta diventando uno strumento di ascesa sociale. Per me violenza è usare strumentalmente un corpo femminile, e ciò dimostra uno scarso rispetto da un lato per quanti, uomini e donne, hanno conquistato uno spazio con le proprie capacità e il proprio lavoro, dall’altro per le istituzioni e la sovranità popolare che le legittima.
E cosa dire della “violenza” delle immagini pubblicitarie: è necessario in Italia vietare la pubblicità sessista come misura di prevenzione della violenza di genere, è necessario intervenire nell’immaginario per non far prosperare una cultura della violazione del corpo, di qualsiasi corpo, maschile o femminile, perché questo genera violenza. E’ giunta nei giorni passati una interpellanza a questo Consiglio in cui si chiede chiarimento per manifesti pubblicitari il cui messaggio veicolato è violento ed esplicito, si tratta di una vera e propria pubblicità pornografica. Questo non deve più succedere, il rispetto della persona è anche nell’arginare la volgarità. Via dai cartelloni le donne nude, non si possono più usare i corpi delle donne per pubblicizzare tariffe telefoniche, acqua minerale, via dalla tv pubblicità e trasmissioni che veicolano sempre gli stessi stereotipi di donne che cucinano, e detergono sorridendo ogni cosa, ingaggiando lotte furibonde con enormi granelli di polvere.
Vorrei che le donne imparassero a fare rete, senza cedere alla tentazione di sopraffazione l’una all’altra, senza “diventare uomo” per essere donna, senza cedere la propria competenza nelle mani di miseri politicanti che con inutili e meschini tatticismi ti concedono le luci (effimere) della ribalta.

Anni fa mi scrissi una frase: “ci sarà vera parità quando ad un manager stupido succederà non una manager intelligente, ma una manager stupida” la disse una grande e compianta donna, Marisa Bellisario, che stupida non lo fu mai.
Vi cito un pezzo di Simone de Beauvoir: “Gli uomini si contraddicono con uno stolido cinismo; ma la donna sperimenta queste contraddizioni sulla sua carne ferita. Pur considerandosi vittima di un’ingiustizia che la rende criminale suo malgrado, si sente contaminata, umiliata; è lei che incarna sotto forma concreta e immediata, in sé, la colpa dell’uomo”. Parlava dell’aborto. Grazie.

Pubblicato: 03 Febbraio 2011Ultima modifica: 26 Maggio 2022