La memoria della mia terra

Patrizia Cuzzani, Capogruppo Gruppo misto.
[n. 4 - Terremoto nel modenese - Dal Consiglio]

Le immagini che i giornali, le tv e i social network mi  mostrano dal 20 maggio sono tristemente insolite per me che, nata e cresciuta in questa terra piatta e ubertosa, l’aveva sempre vista  gentile e generosa, più spesso tradita e violata dalla piccolezza umana, ma mai traditrice. Noi non abbiamo mai vissuto davvero i danni di un terremoto, abbiamo spesso pianto lacrime per esplosioni che solo la nostra follia aveva inferto a luoghi e persone, egualmente innocenti. Non abbiamo mai pensato alla nostra casa o al nostro luogo di lavoro come cumuli di macerie sotto cui qualcuno potesse morire mentre lavorava o si riposava. Uscire e stare all’aperto non era mai stato un obbligo che consentiva di sopravvivere, ma un modo per stare (allegramente) con gli altri, progettare, fare comunità, in una parola, vivere.
Ecco è da qui che voglio partire, dalla coesione che da sempre ci ha consentito di  fare comunità, di cooperare, di trovare il coraggio di creare i distretti industriali più evoluti (e produttivi) d’Europa. Pare strano, ma in questi giorni molti hanno scoperto quanto importante fosse questa “bassa” che, da formichina silenziosa e operosa, porta a tutti noi una ricchezza paragonabile a poco meno del 2% del PIL nazionale.  Ma io lo sapevo quanta era stata la forza delle idee che aveva trovato spazio qui, una forza che adesso dobbiamo trovare per ricostruire e per vigilare che, in questo processo di ricostruzione di vite,  non si insinuino le criminalità organizzate che, purtroppo, sappiamo radicate in alcune parti della nostra provincia.
Così come dobbiamo ripartire da una politica edilizia che non sia becera cementificazione, eccessiva escavazione e inutile e illogico riempimento; dobbiamo ricominciare dalla natura e non dal contro-natura, dal rispetto e dall’ascolto, altrimenti ancora e ancora la nostra terra si arrabbierà, sobbalzerà come a cercare di scrollarci di dosso, perché le diamo troppo e profondo dolore.

La terra trema ancora, finché lo fa non è possibile programmare una ricostruzione, si riesce a malapena a mettere in sicurezza ciò che è stato risparmiato dal sisma, ma è possibile individuare le priorità per rivivere.
Si provveda prioritariamente a ridare casa e servizi a chi non ce li ha più; la nostra estate è bellissima e terribile allo stesso tempo, la vita in tenda o in roulotte, può essere solo una risposta temporanea ad un’emergenza, e come tale deve essere valutata nella sua brevità.
Si ricominci il ciclo produttivo, sappiamo solo essere operosi, e si ricostruiscano i luoghi di lavoro e di studio nel modo più sicuro possibile. Innegabile che la carta sismica che raccontava il bassissimo rischio del nostro territorio è fallace, quindi ben venga il decreto ministeriale che sancisce nuove regole per essa e per i criteri di edificazione e ricostruzione. La mancata sicurezza sul posto di lavoro non può essere derubricata come fatalità, su come sono state costruite le fabbriche e le scuole è indispensabile fare chiarezza, senza nessuna volontà speculativa, ma penso che morire perché le fabbriche (o le scuole, come a San Giuliano Milanese) non stanno in piedi non è sopportabile in un paese civile.

E poi i nostri ben culturali, che sono molto più di castelli maestosi; sono luoghi che la volontà dell’uomo e il lavorio del tempo hanno trasformato in elemento simbolico della comunità che vive accanto, sono luoghi crocevia, attraversati da dimensioni affettive, sociali, culturali, soprattutto identitarie.  Quindi non ci sono beni che sono imperdibili perché progettati o voluti da insigni architetti o nobili famigli, e altri che possono essere perduti per sempre perché portatori di un valore artistico residuale; anche la più piccola pieve, il più piccolo pilastrino, per la nostra gente raccontano una storia interiorizzata e imperdibile. I luoghi della memoria modenese non sono quelli di cui ci si ricorda, ma i luoghi dove la memoria lavora e dove, come ora, ricostruisce un tessuto sfilacciato o strappato. Il nostro passato non deve essere perso ma, oggi, deve essere occasione di assumere nuove e diverse memorie, avviare un confronto che consenta di dare nuove risposte, accettabili per tutti. Quindi, ribadisco, un fermo NO ai progetti di new town che, come  l’Aquila ci insegna, contribuiscono allo smembramento e all’oblio di una comunità.

E poi voglio orgogliosamente parlare della solidarietà, quella che fa si che da noi “non si perda neanche un bambino” e che sta aiutandoci a  vivere ma che, pare assurdo, mi preoccupa. I tanti conti correnti che vedo nascere (non parlo, ovviamente, di quelli aperti dagli Enti pubblici), della cui provenienza ignoro (ma auspico la buona fede) e di cui temo l’errato (o addirittura inesistente) investimento in opere inutili quanto appariscenti, mi fanno chiedere  con fermezza un impegno preciso a carico della Regione Emilia-Romagna e del Presidente Vasco Errani. Apriamo un conto corrente regionale e chiediamo che tutti questi soldi vengano versati lì, mantenendo intatta l’identità di chi versa e mettendo in evidenza quale opera verrà realizzata con quel danaro.
Oggi abbiamo bisogno di due cose; soldi per ripartire ma, soprattutto, che la terra finisca di tremare. E solo sul primo abbiamo potere di fare e fare bene.

Pubblicato: 27 Giugno 2012Ultima modifica: 08 Luglio 2022