L’Italia non deve tornare al nucleare

[n. 2 - ottobre 2010 - Dal Consiglio]

Uno degli argomenti più complessi  a cui ci troviamo di fronte oggi è quello relativo alle scelte nella politica energetica e, purtroppo, alle molteplici e spesso inadeguate risposte.

Vorrei partire da una domanda: abbiamo bisogno di centrali elettriche? Qualche dato; la richiesta massima storica in Italia è di circa 57GW e la potenza massima lorda installata in Italia è di oltre 98 GW. Possiamo quindi produrre il 40% in più di quello che consumiamo, quindi le centrali elettriche producono tutta l’energia elettrica che ci serve ma, ed è qui

il problema, le reti elettriche, progettate nei gloriosi anni ’60, non riescono a trasferirla.

Un altro dato è quello relativo all’EROEI (acronimo inglese di Energy Returned On Energy Invested) ovvero energia ricavata su energia consumata, il quale è un coefficiente che, riferito ad una data fonte di energia ne indica la sua convenienza in termini di resa energetica. Più il valore dell’EROEI è alto, più il sistema di produzione energia è conveniente energeticamente: l’EROEI del nucleare dimostra che rende meno di fonti molto più blasonate, come l’idroelettrico ed è simile all’eolico.

Il Governo oggi spinge per il ritorno dell’Italia al nucleare, fa ricorso ad argomentazioni favorevoli che sono facilmente confutabili.

Da vent’anni il numero di centrali nucleari attive e di 440, nei prossimi anni ne verranno chiuse di più di quelle che verranno implementate.

In Europa il contributo del nucleare alla potenza elettrica installata è sceso nel 2008 al 16% (nel 1998 era al 24%) e l’energia elettrica prodotta col nucleare nel mondo è diminuita di 60 TWh dal 2006 al 2008.

Perché questo declino? Perché, in un regime di libero mercato, non è conveniente. Se lo Stato non si fa carico dei costi nascosti (assicurazioni, dismissioni e bonifica degli impianti, sistemazione delle scorie) e se non garantisce ai produttori consumi e prezzi alti, nessuna impresa privata si impegna a gestire ed investire.

Per impiantare una centrale nucleare occorrono 5 miliardi di euro e lunghi tempi per il rilascio dei permessi e l’individuazione dei siti (4/5 anni),  per la successiva costruzione (5/10 anni), un lungo periodo di funzionamento prima di ammortizzare i costi(40/60 anni), i tempi necessari per lo smantellamento alla fine dell’operatività (100 anni), la radioattività del combustibile esausto (decine o centinaia di migliaia di anni).

L’Italia non ha uranio (tra l’altro è in via di esaurimento), non ha la filiera che lo parta da grezzo ad arricchito, deve importarlo, una delle nazioni maggiormente produttrici è ad esempio il Niger, politicamente instabile.  Risolvere il problema energetico su scala globale  mediante l’espansione del nucleare porterebbe ad una nuova forma di colonizzazione; quella dei paesi tecnologicamente più avanzati su quelli meno sviluppati e, altrettanto inevitabilmente, ripercussioni sulla pace mondiale. Non esiste una netta separazione tra uso civile e uso militare dell’energia nucleare e dai reattori si ricavano uranio e plutonio adatti alla fabbricazioni di armi nucleari.
La pace è un prodotto complesso fatto di atti concreti , quotidiani, la non violenza è basata su un sistema di relazioni umane fondate sulla forza della cooperazione, nell’aiuto reciproco piuttosto che sulla politica di potenza evocata dal nucleare.

Ridurre il consumo di energia è la strategia che propongo: isolare al meglio gli edifici, potenziare il trasporto pubblico, spostare il traffico merci su rotaia e via mare, usare apparecchiature elettriche più efficienti, ottimizzare  gli usi energetici finali, sviluppare l’energia solare e le altre energie rinnovabili (corsi d’acqua, vento, geotermia).

“Utilizzeremo l’energia del sole, del vento e della terra per alimentare le nostre automobili e per far funzionare le nostre industrie” (BaracK Obama, nel suo discorso di insediamento).

Pubblicato: 01 Ottobre 2010Ultima modifica: 26 Maggio 2022