Il Governo, dopo aver sottovalutato l’entità della crisi, mascherandosi dietro un ottimismo di facciata, è stato costretto dalla UE a varare una manovra correttiva di 25 miliardi di euro (1,6% del Pil) per il prossimo biennio, al fine di ridurre il pesante deficit del bilancio italiano.
Approvata con il voto di fiducia, la manovra prevede significativi tagli della spesa corrente, pesando prevalentemente sui circa tre milioni di dipendenti dello Stato (soprattutto delle Scuole e delle Università, già duramente colpite da altri provvedimenti), per effetto del blocco del rinnovo dei contratti e delle progressioni stipendiali, e sugli enti locali (Regioni, Province, Comuni), tagliando i finanziamenti per 14,8 miliardi di euro in due anni, intervento che da solo incide per il 63% della manovra. Due misure, su tutte, che in modo diretto e indiretto colpiscono i “soliti noti”.
I tagli lineari sulle retribuzioni che progrediscono con l’anzianità determinano pesanti riduzioni che ricadranno soprattutto sulle classi stipendiali più basse, e quindi sui giovani. Se si fossero tassati i patrimoni e le rendite finanziarie, riducendo per contro la tassazione sui redditi da lavoro, si sarebbero incrementati i redditi medio-bassi, che presentano una maggiore propensione marginale al consumo. Stimolando la domanda interna di beni e servizi, una manovra di questo tipo, più equa e efficace, avrebbe incrementato il prodotto interno lordo e ridotto il deficit e il debito pubblico. La destra non è in grado di adottare queste misure perché scontenterebbero una parte del blocco sociale (quello più ricco e influente) che la sostiene.
Gli effetti derivanti dai pesanti tagli a carico degli enti locali ricadranno ancora sui soliti “soliti noti”. Per la sola Emilia Romagna si stima un taglio pari a 700 milioni con effetti a cascata su Comuni e Province. Tali misure non potranno essere sopportate se non con una drastica riduzione della spesa che produrrà effetti dirompenti sull’offerta dei servizi sociali locali (asili nido, scuola, trasporti, viabilità, incentivi alle imprese, ambiente, gestione dei rifiuti) e quindi sulla vita dei cittadini, comprimendone ulteriormente la capacità di spesa. Tagli che penalizzeranno in particolare regioni virtuose nel promuovere intervenuti in tema di politica sociale e azioni anti-crisi, come l’Emilia Romagna. Mentre, negli enti in cui i risparmi di spesa non saranno sufficienti o realizzabili, gli amministratori locali saranno costretti ad aumentare, dove possibile, il costo stesso dei servizi o i tributi locali, imponendo così quelle misure fiscali che il governo Berlusconi si premura opportunamente di non introdurre per salvaguardare la sua immagine. La manovra rischia oltretutto di soffocare sul nascere il federalismo fiscale.
Una manovra, dunque, fortemente repressiva e depressiva che danneggia il potere di acquisto delle famiglie e i consumi privati, e che per contro non investe in politiche per lo sviluppo economico e in politiche per l’innalzamento dell’istruzione scolastica, da cui in primo luogo dipende la crescita sociale, culturale ed economica di un Paese. Contrariamente ai nostri partner europei il provvedimento di Tremonti non prevede alcuna misura a favore degli investimenti in ricerca e innovazione, della riduzione dei costi per chi avvia una attività imprenditoriale, della ripresa dell’occupazione, creando nuove opportunità di lavoro per i giovani.
Le misure fiscali per attrarre gli investimenti esteri o la costituzione di zone a burocrazia zero nel meridione perdono di efficacia in assenza di misure di contrasto alla criminalità organizzata e all’illegalità, di adeguate infrastrutture per la viabilità di cose e persone, di poli tecnologici e di investimenti in innovazione.
Sul fronte delle entrate l’incremento è demandato a interventi in tema di lotta all’evasione fiscale. L’evasione oltre a provocare un mancato incasso (nel triennio 2005-2008 è stata stimata una perdita per le casse dello Stato intorno all’8% del PIL) è un freno alla crescita in quanto provoca un innalzamento delle tasse per chi le paga. Su questo terreno la manovra adotta misure poco incisive e di dubbia efficacia. La soglia fissata a 5mila euro per la tracciabilità dei pagamenti, ad esempio, è troppo elevata in quanto consente l’attuazione di meccanismi di frazionamento del pagamento, rischiando di non intercettare gli evasori veri. Non sono previste, invece, misure come i meccanismi di monitoraggio della consistenza e composizione dei patrimoni dei contribuenti, complementari alla misura del redditometro. Oppure, interventi che potenzino gli strumenti di tracciabilità e di accertamento attraverso l’aiuto della tecnologia come: la trasmissione telematica dei ricavi dei commercianti, l’emissione di fatture telematiche per i rapporti economici con la pubblica amministrazione senza limite di importo, la richiesta agli intermediari finanziari della trasmissione al fisco dei saldi finali di tutti i contribuenti attraverso l’anagrafe dei conti correnti, la compilazione dell’elenco clienti-fornitori.
Si delinea quindi una manovra che sebbene necessaria si mostra del tutto inadeguata a perseguire gli obiettivi di equità, risanamento del bilancio e crescita economica.